3.11.08

Da VeDere



Titolo sollazzante e beffardo (non è vero, è che sono alcolista) perché oggi non vi parlo di cinema ma di DVD! Ebbene sì signori, i fratelli grandi dei VHS, quelli che se gli va una ditata sopra poi ti vedi il Gladiatore come se te lo scretchasse Bomfunk Mc's.
L'altro dì, mentre m'avventuro in quel di Padova slavata da una pioggia urticante, mi soffermo davanti al mio cinema preferito: è bruciato. Osservo con orrore le vampate di nero fumo deflagrare l'ingresso. Guardo la sigaretta che stringo fra le dita. Decido che è meglio far calmare un po' le acque e mi avvio sospinto dai passi lesti e da sirene in sottofondo.
Il problema sorge solo lunedì alle sette di sera. Cosa diavolo scrivo per l'articolo? L'ultima volta che ho provato a chiedere una deroga per il mio lavoro mi è stato detto "sì, sì, nessun problema". Tornando a casa un furgone targato "Sbloggy" ha tentato di investirmi mentre una sventagliata di Uzi mi sfiorava. Ho sentito distintamente una voce gridare "Per martedì! Bastardo!".
Eccomi quindi costretto dall'urgenza ad affidarmi al DVD.
Vagando patetico per vie e viuzze capitolo in una piazza ove ristagna l'odore puro e cristallino dello smercio commerciale di video. Un riflesso blu e giallo addobba una pozzanghera ai miei piedi. Alzo gli occhi. Cori di angeli. Blockbuster.
No, demone tentatore, non avrai la mia anima. Estraggo una copia limitata in VHS di "Berlin Alexanderplatz", ma non basta, evoco, come un sciamano Mohawk gli spiriti dei grandi registi non commerciali. Ed eccoli tutti accanto a me: Rossellini, Allen, Fassbinder, Solondz. Tutti uniti come i Cavalieri dello Zodiaco respingiamo la maligna luce di Blockbuster. L'onda d’urto mi spinge indietro. Fuggo senza voltarmi.
Badate bene, non voglio apparire più snob di quanto non sembri già, trovo che Blockbuster sia un ottimo modo per avvicinare la gente al cinema, come McDonalds è un buon modo per avvicinare la gente al gusto del cibo. Purtroppo io sono marinaio per altri, più discreti lidi.
Il mio ideale di videoteca è un posto stretto, sporco, incasinato e polveroso. Gestito da uno o più individui criminali reduci dai difficili anni ’80. Orso ne è esempio perfetto. Orso gestisce una videoteca giù dalle parti di Cittadella, oltre a questa ha una serie di altre attività più o meno lecite (lui direbbe “La mia vita si articola in più riflessi di una stessa immagine”). Ricorda un vizioso incrocio tra Rob Zombie e un carnivoro di quelli cattivi. Sotto un barba sporca e dei dread antichi come le ere paleozoiche, indossa sempre la stessa maglietta dei Pantera (in alternativa, se è a lavare, cede ai Sepultura o, in caso sia proprio in vena di pop, i Nine Inch Nails) Il suo assistente e magazziniere è un tipetto stile Gioventù Hitleriana, capello biondo tirato indietro con il gel, occhio di ghiaccio. Lo chiamano tutti Faina. Per l’aspetto e per il carattere. E’ un tipetto di poche parole, con una conoscenza del cinema discretamente vasta ma legata a soli due genere (splatter e porno), sembra tranquillo, ma se siete stati rapinati in quel di Cittadella ci sono buone probabilità che lo conosciate già.
Nel negozio vige un’anarchia tale che scoraggia i pochi clienti non abituali. La vera sfida (e l’accesso alla ristretta cerchia degli “amici dell’Orso” ) è non lasciarsi abbattere dai mucchi sfatti di cassette con o senza custodia, ma rimboccarsi le maniche e dedicare quelle tre-cinque ore a cercare il titolo desiderato. Perché, vi assicuro, lo troverete. Il numero di film e la loro varietà è impressionante e se sarete capaci di sopportare una colonna sonora di Death Metal e le ributtanti avventure che il proprietario inanellerà solo per voi (“…come quella volta che ho ucciso un cavallo…”), uscirete quasi sicuramente soddisfatti e, sicuramente, derubati.
La pesca è fortunata e mi trovo fra le mani ben tre titoli validi. Tre titoli che, come centinaia di loro colleghi, ignorati bellamente dalle sale cinematografiche (che gli hanno dedicato un paio di botte e via) sono stati incatenati agli angoli bui (o addirittura banditi) dalle videoteche. Eppure, spesso, questi gioielli dimenticati, riescono a tornare a splendere.
Tre titoli per voi:
1) City of God: Il buon Meirelles crea qualcosa di magico e (visto lo schifo che è il suo film successivo) irripetibile. Il racconto di una favela brasiliana in puro stile Tarantino (quindi flashback, parolacce, molto pulp, molta violenza, scene cult, c’è pure il ballo…). Un vero e proprio buco d’inferno in cui le vite dei giovani protagonisti si intrecciano in quello che diventa, spesso e volentieri, un cappio per ciascuno. Una violenza che accompagna gli abitanti della Città di Dio sin da bambini, strappandoli alla vita poco più che ventenni. C’è chi cerca di fuggire, chi si arrende alle conseguenze delle sue azioni, chi da un colpo alla botte e uno al cerchio e chi, come Zepecheno, sguazza nel sangue, cosciente e gioioso del suo ruolo di incarnazione del Male. Un grande capolavoro, magistralmente (so che è una parola abusata, ma qui ci sta) diretto e perfettamente interpretato da una miriade di attori alle prime armi che danno una vera e propria lezione ad Hollywood tutta. (Ne hanno fatto anche una versione telefilm, chiamata City of Men, su Sky, purtroppo in quanto proletario non ho il satellite e figurati se le reti nostre si degnano…)
2) In Bruges: Lungometraggio a firma di tale Martin McDonagh. Il misconosciuto regista si rivela molto abile nel dirigere avanzi di galera come Colin Farrell, Brendam Gleeson e (Sua Maestà) Ralph Finnes. Praticamente Alexander incontra Harry Potter. Ma il film funziona e risulta un buddy movie spietato e adrenalinico, ma anche grottesco e surreale. Due killer costretti a rifugiarsi dopo un colpo mal riuscito a Bruges, in Belgio. Controllati dal loro sadico capo, tenteranno di ammazzare (ahahah…ah…) la noia facendo un po’ i turisti, ma le cose non tarderanno a complicarsi terribilmente. Un film tosto e cattivo, dove la redenzione esiste, ma passa solo attraverso la canna fumante della pistola. La sceneggiatura (anch’essa del nostro amico McDonagh) riserva momenti davvero esilaranti e scene di sangue mica da ridere.
3) Kakurenbo: Mediometraggio anime ad opera di due designer esordienti nel campo: Shiro Kuro e Syuhei Morita. Dopo aver riscontrato un grande successo in Giappone, questo cartone (che brutto chiamarli ancora così) di venticinque minuti scarsi viene esportato anche da noi (ovviamente in sordina, sia mai che il cartone per adulti venga sdoganato). Un gruppo di bambini con indosso maschere di volpe da il via ad uno strano gioco in una metropoli deserta. Un gigantesco nascondino fra le macerie di una città proibita. Giganteschi Oni (demoni giapponesi) meccanici a fare da cacciatori. Un solo vincitore a scoprire la terrificante verità. Tutt’altro che una favoletta della buonanotte questo fantasy-horror tocca alcune fra le paure più tipiche infantili che faticano, con la maturità a scivolare via (la sensazione di essere braccati, il buio, la solitudine, l’essere inermi di fronte al proprio destino). Il finale, una bella doccia fredda, chiude come il coperchio di una bara l’intera faccenda. I due sceneggiatori sanno il fatto loro, creando un’opera onirica ma credibile. La computer grafica e i fondali disegnati sono perfettamente armonici e danno l’idea di un lavoro eseguito con cura. Lo trovate, probabilmente, anche su Youtube, se masticate un po’ di inglese non sono venti minuti buttati via.

Comprateli, noleggiateli, spiateli, non vi dico di rubarli, ma mentite ed imbrogliate per averli.
Vedo un laser rosso danzarmi sulla faccia.
Alla settimana prossima.

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